24 ottobre 2023

Una notte cantata piano - Secrets, The Cure

Secrets è contenuta nel secondo disco dei Cure, "Seventeen seconds" (1980), e ne riflette la luce tenue che lo avvolge di un'atmosfera calda e dolceamara.

Il testo rimpiange una passione segreta e fugace impossibile da realizzare, la voce è quasi un sussurro, l'ambientazione notturna.
Si percepisce qualcosa dello sconforto dato da un "carpe diem" disatteso. D'altronde la teoria di Robert Smith e compagni è che 17 secondi contengano il senso dell'esistenza.

Siamo solo al secondo album e il suono è già diverso rispetto al precedente: si rivela precocemente una delle peculiarità della band britannica, ossia la capacità di non ripetersi mai, dal '79 fino ad almeno il '92, un lunghissimo periodo di tempo in cui i Cure si tuffano con fare spericolato verso ogni direzione che Robert Smith decide di percorrere. 
Non gli importa niente di rischiare di deludere e di scontentare, lui va per la propria strada in questa furia creativa che fa dei Cure un gruppo nato in piena era post-punk che si è ritagliato una posizione di primo piano nella molteplice galassia new wave.

Un disco che sintetizza quello che i Cure sono stati per oltre un decennio è probabilmente il doppio Kiss me kiss me kiss me, che contiene in sé le passate vesti indossate dalla band e lascia intravedere come attraverso un velo quello che sarà il loro capolavoro per eccellenza, Disintegration, che con la pioggia scrosciante che lo inonda sembra salutare un decennio che è stato tante cose e conteneva (in tutti i sensi del termine) le contraddizioni dei quaranta anni a venire.

Il contesto però perde di spessore in Disintegration, che è un capolavoro anche perché riesce a collocarsi fuori dal proprio tempo, per temi e suono, ma che contemporaneamente si infrange contro la realtà di quel contesto quando viene portato in tour e suonato di fronte alle folle.
C'è una versione struggente di Faith da un live del tour dedicato al disco, tenutosi qualche giorno dopo la strage di Piazza Tienanmen nel 1989. Robert Smith parla delle vittime, soffre, interpreta la canzone e lascia dire a lei l'orrore di ciò che accade in quel momento nel mondo.

Nelle decine e decine di canzoni sognate, composte e suonate dai Cure le contraddizioni esplodono, si mescolano e riescono a convivere, così quello che emerge è che i loro album si pongono fuori dal tempo e dentro al tempo, fuori dallo spazio e anche nello spazio di una notte cantata piano come in Secrets. 





08 giugno 2022

Il mio primo - ultimo giorno di scuola*


La sveglia delle 5.45 è ancora memorizzata sul mio telefono, i libri, i quaderni, gli appunti e l'agenda troneggiano sulla mia scrivania e altri libri, appunti e quaderni gonfiano la mia borsa. Ci sono libri e appunti persino sotto la scrivania e le verifiche svolte e corrette riempiono un'altra borsa ancora.

Non fosse per quest'ultimo dettaglio, potrei dire che questo somiglia al mio ultimo giorno di scuola di più di dodici anni fa. Era il 2009: io facevo la maturità, mentre le ragazzine e i ragazzini di cui sono stata "la prof." da marzo all'altro ieri venivano al mondo o stavano per farlo.

Non so se il ritmo delle coincidenze sia davvero un ritmo con una sua logica, ma trovo significativo il fatto che questo con "i 2009" sia stato il mio primo anno da docente: quando mia madre, anche lei insegnante, ha iniziato a lavorare, io ero con lei, dentro di lei nel suo primo giorno dietro ad una cattedra. 

Un primo giorno ancestrale e primordiale, che si è ripetuto in un ciclo di rimandi, nel rifrangersi dei giorni dentro ai giorni e delle scelte compiute chissà quanto tempo fa in altre scelte ancora.

Oggi mi sembra di guardare dalla cima di una montagna tutte queste eco visibili e tangibili come qualcosa di materico. Era tutto là, in quel primo giorno di scuola di mia madre in quell'autunno del 1989, sei mesi prima che io venissi al mondo, e c'era tutto sul finire della primavera del 2009, quando per me si chiudeva un ciclo e ne iniziava un altro e venti ragazzini nascevano, per poi incontrarmi sul finire di un inverno di dodici anni dopo. 

È una vertigine che ne accoglie altre e ne attende tante.

Roma, 9 giugno 2021

 

*Questo testo è stato scritto esattamente un anno fa, dopo il mio primo anno da docente. Quest'anno ho fatto tante altre esperienze e sono cresciuta moltissimo, ho addirittura superato un concorso e il mio cuore si è spezzato innumerevoli volte, ad ogni fine di supplenza e quindi ad ogni abbandono. Ce ne sono di cose da metabolizzare e qualcosa su questo secondo - ultimo giorno di scuola l'ho già scritto, ma preferisco lasciarlo lì a maturare tra le pagine, ché giugno è sì "maturità dell'anno", ma serve la giusta distanza per rileggere emozioni così forti e significative.

 

 


22 maggio 2018

LA POSTA DI ILARIAFRITTA #2



Ecco le due lettere della nuova puntata de La Posta di Ilariafritta.
 
Cara nuova dottoressa di Cioè,
ti ho cercato a lungo e finalmente ti ho trovato, non sapevo che adesso ti facessi chiamare Ilariafritta, è un nome buffo, ma non è bastato a nasconderti, quindi eccoci qui.
Oggi ti scrivo per porti un quesito spinoso: perché molti ragazzi e molte ragazze pensano che una ragazza non abbia come i ragazzi il diritto di divertirsi come meglio crede e con quanti ragazzi vuole?

La tua affezionata Gisella.

Cara Gisella,
ti rispondo solo perché la domanda che mi hai fatto è interessante, ma voglio ribadire che non sono la nuova dottoressa di Cioè e che io con Cioè non c’entro niente. Considera che so dove abiti, sulla lettera c’era il tuo indirizzo di casa. Attenta a te.
Ma veniamo ora al tuo spinoso quesito. La risposta è semplice, quello di cui tu parli si chiama maschilismo. Secondo alcuni fini pensatori, la libertà degli altri dovrebbe sempre essere un po’ meno libertà della loro, ma questo genera un tranello nel quale sono in molti a cadere, ossia negare la propria di libertà. È cosa triste, capillare, frequente. Il maschilismo di un uomo e di una donna è proprio questo, cadere in una buca e non rendersi conto di avere tutti gli strumenti per uscirne, quindi arredarla e restarci, pretendendo che ci caschino e ci restino anche gli altri.
Tu, donna libera, puoi certamente fare molto. Per esempio vivere la tua esistenza senza cadere in buche scavate da altri, stando attenta a non scavarti la tua. Puoi vivere libera dal giudizio, inseguendo la tua di volontà. Vivi e lascia vivere.
Infine, un consiglio pratico: se sai che un ragazzo pensa che una donna libera sia una “troia”, una “zoccola”, non dargli la possibilità di godere di questa fantastica cosa che è la chimica fra due persone, dato che non potrà mai apprezzarla fino in fondo. Non dargli nemmeno l‘opportunità di riprodursi. Ricorda che possiamo ancora fare la differenza nella selezione naturale.

Tua Ilariafritta (non c’entro niente con Cioè!)
 

Cara Ilariafritta,
sono Edoardo B. e ti scrivo da Napoli.
Mi piace sognare, scrivere canzoni e cantare. Amo il blues e la letteratura e penso che Pinocchio di Collodi esprima alcuni dei nodi cruciali del nostro mondo occidentale. Credo sia un libro da leggere e rileggere soprattutto da adulti, soprattutto quando le nostre vite somigliano sempre di più a quelle di un burattino con i fili. Spesso condivido i miei pensieri, che qualcuno definirebbe anarchici e che io stesso non so come etichettare (e in fondo non mi va di farlo), con i miei amici, ma loro non mi capiscono. È come se parlassimo lingue differenti e alla fine mi danno del pazzo e finisce a mazzate di goliardia. Cerco solo un po’ di comprensione a questo mondo, cerco, forse, un’isola che non c’è.

Caro Edoardo B.,
dato che non mi hai fatto una domanda vera e propria, ti rispondo con dei pensieri che i tuoi hanno suscitato in me. A proposito dell’isola che cerchi, io ti dico che, se ti prendono in giro perché continui a cercarla, tu non darti per vinto, perché chi ci ha già rinunciato e ti ride alle spalle, forse, è ancora più pazzo di te.


Ilaria Pantusa

14 maggio 2018

LA POSTA DI ILARIAFRITTA #1


Gentile Ilariafritta,
sono Giovanni, membro fondatore dell’associazione consumatori di Poggibonsi. Io e i miei concittadini ci domandiamo da un po’ di tempo quale sia il senso di fare le confezioni di Tetrapak® a forma di parallelepipedo, quando poi impediscono al succo o al latte di soia di scendere del tutto. Questo significa sprecare grosse quantità di prodotto, a ben pensarci.
Le chiediamo, quindi, di parlare con i suoi responsabili per cambiare la forma del Tetrapak® al fine di renderlo più funzionale.

Cordialmente,
Giovanni dell’Associazione Consumatori di Poggibonsi

Gentile Giovanni,
credo che tu abbia sbagliato destinatario, non sono l’Ilariafritta Tetrapak® s.r.l., ma una risposta te la voglio dare lo stesso.
Credo che il Tetrapak® a forma di parallelepipedo sia una metafora della vita e delle difficoltà che possiamo incontrare e/o dobbiamo superare e/o accettare.
Sì, insomma, caro Giovanni dell’associazione consumatori di Poggibonsi, la vita, in definitiva, tiene la cazzimma, proprio come i produttori di Tetrapak®, che non hanno mai pensato di farlo a forma di bottiglia, con buona pace del tuo latte di soia.

Con affetto,
Ilariafritta (non “Ilariafritta Tetrapak® s.r.l.)




Cara Ilariafritta,
mi chiamo Gauguin, sono francese e durante il tempo libero amo dipingere e passeggiare.
Sono un tipo silenzioso, ho pochi amici, ma buoni (il mio migliore amico si chiama Van Gogh e pure lui ama dipingere) e mi faccio spesso domande a cui non so dare una risposta. Quindi volevo chiedere a te, che magari lo sai meglio di me: da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?

Tuo Gauguin.

Caro Gauguin,
non so bene cosa ti abbia fatto pensare che io potessi avere una risposta ad un quesito che richiede tante riflessioni. Sarebbe bello poter passeggiare con te e parlarne in modo approfondito, ma sono certa che non arriveremmo comunque a nessuna conclusione, ma solo ad ulteriori domande. Perciò ti dico che dovresti proprio prendere un pennello, una tela, sederti su uno sgabello e rifletterci su attraverso quello che è il tuo hobby preferito.

In bocca al lupo per il tuo futuro,
Tua Ilariafritta.


Questo lo studio dell'opera che il mio amico Gauguin ha pensato di realizzare dopo aver ricevuto in privato la mia risposta.

Ilaria Pantusa

20 aprile 2018

Roma Città Fritta - La musica live a Roma con Ilariafritta: Cosmo @ Atlantico Live, 06-04-2018


Proprio in questi giorni l’inarrestabile Cosmo, al secolo Marco Jacopo Bianchi, ha annunciato le date del tour estivo di Cosmotronic, il disco uscito a gennaio per l’etichetta romana 42 Records.
Il tour invernale ha fatto sold out in tantissime città, compresa Roma e io l’ho visto proprio in una di queste date, il 6 aprile scorso all’Atlantico.
Mi piacerebbe poter dire che tutto è stato perfetto, che l’attesa è stata ampiamente ripagata e che sono tornata a casa leggera e felice. Fosse solo per Cosmo, potrei tranquillamente affermarlo. Il problema è che se la location non è all’altezza dell’artista, qualcosa che ti fa storcere il naso non può mancare.
Inizia “Bentornato” e a malapena si distinguono i primi versi della canzone, “Sei la mia città” non sembra lei e molte altre canzoni hanno perso qualcosa durante l’esecuzione, perché il suono arrivava distorto. Quando ho visto i video di amici che erano presenti, ma si trovavano in altri angoli dell’Atlantico, ho notato che invece le canzoni arrivavano in maniera più limpida e il suono era lievemente più pulito. Insomma, bello stare nel “bordello” (e io e i miei amici non eravamo neanche chissà quanto avanti, ma in una posizione central) e nel clima esaltato che un concerto del genere giustamente trasmette, ma perdersi buona parte dell’esperienza per questo motivo fa fare il sangue amaro.
Ma passiamo alle note dolci.
Cosmo è un perfezionista, uno che calcola tutto nel minimo dettaglio e che in quello che fa mette l’anima. Ho seguito, tramite i social, tutti i passi che lo hanno portato a questo tour, le interviste in cui annunciava quello che sarebbe stato, le foto e le storie delle tappe precedenti rispetto a quella romana e l’attesa non ha fatto altro che crescere.
Credo che nessuno si possa ritenere deluso dalla scaletta, c’erano tante canzoni dai primi due album e c’era tutto Cosmotronic, che dal vivo funziona ancora di più. È un disco fatto per essere goduto nella dimensione live e questo lo provano pezzi come “Tutto bene”, “Animali”, “L’amore” (che non a caso sono anche i miei preferiti in assoluto), nei quali l’artista di Ivrea ha trasmesso tutto sé stesso, facendo arrivare le sfumature emotive più profonde contenute nei brani.
Cosmo aveva anche detto che lo show avrebbe fatto assaggiare a chi non è di Ivrea lo spirito dell’Ivreatronic, il collettivo che nella città piemontese organizza le serate di musica elettronica, e così è stato. Tra un brano e l’altro il buon Bianchi si è divertito a costruire architetture sonore che hanno dilatato pezzi come “Le voci”, trasformando il concerto in una sorta di dj set. Carismatico come pochi, Cosmo non ha infine rinunciato a gettarsi sulla folla sulle note di “L’ultima festa”, regalando la degna conclusione delirante ad una serata che del delirio ha fatto la sua bandiera.
E se è vero che “la notte farà il resto”, tutto poi è proseguito con i dj set del collettivo di Ivreatronic e Cosmo stesso ha fatto mattina insieme agli “eroi” che sono rimasti. Io non ero tra questi, ma questa, ahimè, è un’altra storia. 

Ilaria Pantusa