30 dicembre 2010

Buoni propositi


Ecco l'unico punto a cui voglio giungere con tutta me stessa, non solo quest'anno, ma nel corso di tutto il resto della mia vita...
"Cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio"
(Italo Calvino, Le città invisibili, pag. 164).
E non lo auguro solo a me, ma a tutti coloro che, da qualche anno o solo da qualche mese, hanno deciso di cercare e di saper riconoscere il non-inferno insieme a me.

22 dicembre 2010

The Clash, Sandinista. 'The only band that matters'


Oggi ricorre l' 8° anniversario della morte di Joe Strummer. Come non potevo celebrarlo nel blog che porta il nome di una splendida canzone dei Clash? Per di più la rubrica musicale ha rubato il nome ad un altro loro brano, dunque è mio dovere di folle amante dei Clash pubblicare la recensione di 'Sandinista!'.
Da 8 anni il mondo è meno bello. R.I.P. Joe Strummer

La musica non sarebbe la stessa se i Clash non fossero esistiti. Loro l’hanno riscritta, mescolata e hanno mostrato il volto costruttivo del punk, se di punk si può parlare.Sandinista! è il lavoro più ricco di contaminazioni del gruppo britannico, reggae, dub, rap, rock si incontrano e si uniscono a testi di denuncia sociale e politica, volti a far riflettere, per una realtà migliore che non si bruci nel “No future” digrignato dai Sex Pistols. Il titolo stesso vuole essere provocatorio: si riferisce al movimento di liberazione nazionale nicaraguense che negli anni ’60 andò al potere scacciando il dittatore Somoza. La politica dei sandinisti scatenò la reazione degli USA, i quali finanziarono i gruppi dei controrivoluzionari per far scoppiare la guerra civile. La critica agli USA è inoltre presente nel brano “Washington Bullets”, riferendosi, oltre che a quella cubana e nicaraguense, alla vicenda cilena, che vide gli americani sostenere il generale Pinochet nel colpo di Stato contro il governo del leader comunista Salvador Allende. Non manca l’amore per la musica, espresso in brani come “Corner Soul” o “If Music Could Talk”, in cui alla denuncia sociale si aggiunge il potere delle note.
Un gruppo diventa immortale quando la sua musica parla il linguaggio del presente e i Clash l’immortalità ce l’avevano nel sangue.
 
   Pubblicato sul n° 3 de 'Il Nuovo Cittadino', novembre/dicembre
Ilaria Pantusa


20 dicembre 2010

Arcade Fire, "The Suburbs" - Recensione


 
Arcade Fire
"The Suburbs"
Anno: 2010
 
Loro sono gli Arcade Fire, vengono dal Canada e The Suburbs è un invito a immergervi nel loro colorato, esaltante e, a tratti, malinconico mondo. Con il loro 3° album confermano il talento che hanno dimostrato in precedenza, quando hanno conquistato il cuore e le orecchie di giganti della musica quali U2, Coldplay e David Bowie.
The Suburbs ha una struttura circolare e infatti il brano di chiusura, The Suburbs (continued), riprende il motivo (e lo addolcisce, riempiendolo di sensualità), del brano di apertura, ma ancora più particolare è il fatto che alcune canzoni hanno un doppio dall’umore e dal volto completamente opposto, a volte energico, a volte esuberante, altre cupo. Le voci di Win Butler e Régine Chassagne, la prima roca e a volte cupa, l’altra sempre dolce, sempre morbida, si uniscono creando un’armonia al limite della perfezione, completandosi a vicenda. Non mancano certo i nei (Month Of May, dal ritmo scontato e Sprawl I, che invece manca di ritmo). Eppure le perle sono tante (The SuburbsReady To StartSprawl II) e fanno dimenticare gli episodi meno riusciti.
Nelle periferie canadesi soffia il vento dell’armonia e dell’amore per la musica del passato, del presente e del futuro, quella musica che sa sempre essere originale, quella che gli Arcade Fire sanno creare con sapienza e devozione.
 
Pubblicato su “Il Nuovo Cittadino”, n° 3 novembre/dicembre
 
Ilaria Pantusa
 
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11 dicembre 2010

Il gran baccano dell'inutilità


Un gran tumulto, un gran vociare, bicchieri a terra e brillanti discorsi che solcano l’atmosfera.
Giochi di sguardi e uomini e donne che fingono di ascoltarsi.
Bambini che corrono, bambini che gridano, altri in silenzio dietro la gonnella della madre.
Una vecchia signora osserva da lontano, pensa.
Il mondo è su di un vassoio e tutti stan su quello, il mondo è un vassoio e nessuno lo sa, il mondo è un vassoio che appena inclinato fa scivolar tutti via. Il mondo si rovescia e l’indifferenza lo governa nel gran baccano dell’inutilità.
Ilaria Pantusa
(16 febbraio 2009)

09 dicembre 2010

Punti di vista


 
Quei posti ricordavano a mia sorella l’infinito.
Poteva scorgerlo fra i rami degli alberi, fra le vallate frastagliate, fra quei borghi che affacciavano con caparbia imprudenza sul vuoto.
L’infinito era per lei ovunque, anche nei nostri giochi d’infanzia, quando correvamo fra i campi con i nostri amici, quando ci buttavamo fra l’erba alta a cercar le formiche.
Io l’infinito lo potevo scorgere solo nella distanza che separava il mio presente da quel passato da bambina, non c’era nulla di più bello e triste.
Ilaria Pantusa
(9 febbraio 2009)

08 dicembre 2010

Un tuono


Il temporale era iniziato.
La pioggia scrosciava sui tetti e rinfrescava le chiome degli alberi che non sentivano l’acqua da settimane.
I passanti si rifugiavano correndo sotto i loro grandi e grigi ombrelli e la città si andava a poco a poco paralizzando nel suo solito caos.
Il gatto, che era stato attirato dal tuono e alla finestra osservava questo scorcio di vita, saltò sul letto e si riaddormentò cullato dal rumore della pioggia.
 
Ilaria Pantusa
(9 febbraio 2009)

07 dicembre 2010

La tela perfetta



 
Il ragno era rimasto intrappolato nella sua stessa tela.
Da anni cercava di creare la tela perfetta, quella più grande, quella più resistente.
E ci era appena riuscito.
Ma la tanto bramata perfezione della sua “opera architettonica” si rivelò essere la sua tomba e infatti vi morì poco dopo.
Ilaria Pantusa
   (10 dicembre 2007)

06 dicembre 2010

Gente che corre




La gente corre. È un dato di fatto.
La gente lo fa, di notte, di giorno, e non se ne accorge.
Si corre in così tanti modi diversi, per così tanti motivi differenti.
E perché noi, che stiamo lì a scrutarla nei suoi rapidi movimenti, dovremmo fare qualcosa per fermarla?
D’altronde anche noi corriamo e anche noi non sappiamo perché, non sappiamo come. Corriamo e basta.
Potremmo anche chiudere gli occhi per la troppa stanchezza e non vedere più nessuno muoversi freneticamente su quella salita che stiamo percorrendo in questa notte di luna piena.
Potrebbe portarci una piacevole sensazione in grado di scaldarci quanto il sollievo il non vedere più nessuno fuggire a quel modo, nello stesso modo in cui lo stiamo facendo noi.
 
Ilaria Pantusa
(4 febbraio 2008)

Ciò che avete appena letto è la mia rielaborazione di "Gente che corre" di Kafka. Ed ecco il racconto originale:
"Se camminiamo di notte per strada e un uomo ci corre incontro, visibile da lontano, perché la strada è in salita e c’è la luna piena, non faremo nulla per trattenerlo, anche se è debole e lacero, anche se qualcuno lo insegue gridando, ma lo faremo continuare nella sua corsa. È notte e non è colpa nostra se la strada sale sotto la luna piena, inoltre può darsi che i due abbiano inscenato l’inseguimento per gioco, forse entrambi inseguono un terzo, forse il primo viene inseguito senza colpa, forse il secondo ha intenzioni omicide e noi diventeremo complici dell’assassinio, forse i due non sanno nulla uno dell’altro e ciascuno corre, per suo conto, a letto, forse sono sonnambuli, forse il primo è armato. E, a ultimo, non ci è lecito essere stanchi, non abbiamo bevuto tanto vino? Che sollievo non vedere più neppure il secondo."
(F. Kafka da “Contemplazione”, 1913)

29 novembre 2010

Seduti. La scuola deve continuare


Seduti. La lezione ancora non è finita. E fate entrare anche i vostri genitori, che ascoltino anche loro. Aprite il libro a pagina Costituzione e leggete cosa c’è scritto. Bene, ripetete con me, “l’ Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” e ancora “la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Adesso andate a pagina Precariato e Disoccupazione:
L’anno scolastico 2010/2011 è appena iniziato e la riforma Gelmini, promettendo migliore qualità dell’insegnamento, ha intanto in programma il taglio di 135mila posti di lavoro, cioè 135mila insegnanti saranno licenziati nel giro di un anno. Questo cosa vuol dire? Avanti, tu lì in fondo, rispondi. Esatto, vuol dire che i due principi che abbiamo letto prima non vengono rispettati. Ma aspettate, non è tutto. Ci sono tante scuole come la vostra in cui non ci sono insegnanti. E allora che si fa? Bravissima. Si chiama un altro insegnante, il cosiddetto precario, quello che scende in piazza a protestare ogni anno perché per lui lavorare, oltre che un diritto, è vita, è soddisfazione. Quello che se viene licenziato o ha un punteggio troppo basso nella lista del provveditorato non lavora e allora fa lo sciopero della fame rimanendo nella zona d’ombra della società italiana, quella verso cui lo sguardo dei maggiori media e della politica rimane indifferente.
Passiamo a pagina Qualità dell’apprendimento e Continuità. Perché quelle facce perplesse? Cosa c’è che non va? Ah, il ministro Gelmini ha detto che tutto ciò che ha fatto finora è volto a migliorare la qualità della scuola e ad assicurare la continuità dell’insegnamento? Allora parliamo delle ore scolastiche tagliate alla storia, alla geografia, alla storia dell’arte, alla letteratura italiana e alle lingue straniere. Parliamo, ad esempio, delle 3 ore di matematica durante l’ultimo anno di liceo scientifico e del fatto che i professori devono correre per finire il programma e lasciarsi così alle spalle le vittime degli integrali e delle derivate.
Intanto le cattedre sono vuote e solo 16mila insegnanti sono entrati di ruolo quest’anno. Questo cosa vuol dire? Lo chiedo a voi.
 
Ilaria Pantusa
 
(Articolo pubblicato su Il Nuovo Cittadino n°3 novembre/dicembre)

26 novembre 2010

Fraintesa


Fraintendimento. Bella parola vero?
Pensate, nella mia vita son stata fraintesa 10.598,9 volte.
Come faccio a saperlo?
Basta mescolare un po’ di ricordi dimenticati insieme a facce che non si vedono più. Poi son da aggiungere quelle poche volte in cui il volume della propria rabbia è aumentato e qualcosa come il senso di colpa. Un pizzico di coda di paglia ed il fraintendimento è pronto. Basta poi pesarlo sulla bilancia della propria coscienza ed è così che saprete quante volte siete stati fraintesi.
Qualcuno potrebbe obiettare su cosa c’entrino il senso di colpa e la coda di paglia.
Il loro zampino c’è sempre. Sempre.
Fin da quando ero piccola, anche se la colpa era degli altri, l’unica che si castigava ero io. E allora nel fraintendimento il senso di colpa gioca un ruolo fondamentale, perché è sempre un po’ colpa di se stessi se gli altri non capiscono cosa diciamo. A volte parliamo a voce troppo bassa, talmente bassa che anche un sussurro è più limpido. Altre volte invece urliamo, e le nostre grida si confondono con il rombo di una moto che a cinquanta chilometri da noi sta correndo per andare chissà dove.
Conseguenza immediata del senso di colpa è la coda di paglia. Eh sì, perché una colpa sicuramente ce l’ho. E’ ovvio, è logico, è certo, è chiaro, è matematico, è scientifico, è provato, è testato, è risaputo.
E’ falso.
Il motivo per cui crediamo di meritare la decapitazione è l’unico che non ce la fa ottenere.
E allora altre congetture, altri ricordi da tirare fuori, ma quelli non vengono a galla. No, proprio non capiamo dove sia quella mano di colore che non andava bene, l’increspatura del foglio di carta sul quale si stava scrivendo la lista della spesa.
Capita di essere stati fraintesi, di sentirsi con le spalle al muro come chi è stato condannato alla pena capitale ed invece è innocente, ma lo si scoprirà solo dopo che la sua cenere volerà nel cielo.
Sono stata fraintesa 10.598,9 volte. Neanche so perché.
                                            

24 novembre 2010

L'intelligenza che protegge dai tranelli



 
Boccaccio è affascinato dalla prontezza dell’ingegno umano e spesso, nella letteratura sia antica che moderna, simbolo di questo ingegno sono gli ebrei.
Infatti, il popolo ebraico, vittima dalla notte dei tempi delle più nefaste persecuzioni, vittima dell’antisemitismo, è visto spesso come il nemico, colui da cui diffidare, ma è anche colui che grazie alla sua saggezza riesce a cavarsela nelle situazioni più ardue.
La letteratura medievale presenta ben due esempi, con una vicenda fra l’altro molto simile. Uno proviene dal Novellino (il cui autore è sconosciuto), mentre l’altro dal Decameron.
In entrambi sono protagonisti un sultano e un giudeo, e in entrambi il sultano ha bisogno di denaro per alcuni problemi che lo affliggono, mentre il giudeo è colui che deve prestargli la moneta. Ora, sia il sultano di Boccaccio che quello del Novellino vogliono porre una trappola all'ebreo, e il prescelto, in entrambi i casi, riesce a non cadere nel tranello grazie alla sua intelligenza.
La novella di Boccaccio è ricca di particolari, sia nella trama che nella caratterizzazione dei personaggi. Infatti, Saladino il sultano è un uomo di prestigio, il quale ha speso molto per le battaglie che ha vinto e per i lussi in cui si è rifugiato. È inoltre un uomo avaro, ed è questa la ragione del tranello nei confronti di Melchisedech.
 
 
Melchisedech il giudeo è invece un usuraio di Alessandria, è ricco ed è anche “savio uomo” e grazie a questa sua dote si accorge da subito della beffa.
Il racconto contenuto nel Novellino non dà un volto ai personaggi, ma ne accenna solo le intenzioni. È tramite la conversazione che si evince l’esito positivo della vicenda.
Infatti, non c’è alcuna anticipazione riguardo le doti intellettive del giudeo, ma queste vengono fuori solo grazie a ciò che dice, alla narrazione grazie alla quale si sbriglia dal tranello.
Con la descrizione che Boccaccio fa del suo giudeo, invece, il lettore è già consapevole delle ingegnose capacità dell’uomo e quando le vede messe in azione nel racconto che egli riferisce al sultano, chi legge non se ne sorprende più di tanto. È vero che lo spazio per la narrazione è limitato, ma quel poco che le viene dedicato è fondamentale, perché aiuta il lettore a comprendere in cosa consta l’ingegnosità dell'usuraio ebreo.
E così, la semplicità del racconto contenuto nel Novellino dà l’impressione che l’intelligenza, la genialità, siano doti naturali nell’uomo, soprattutto in coloro che hanno sempre corso enormi rischi nella loro vita e si trovano di fronte ad un altro rischio, forse più grave, forse meno arduo, comunque pronti, comunque vigili.
La struttura ben più complessa della novella di Boccaccio esprime invece il fatto che dietro ogni azione che l’uomo compie c’è sempre un ragionamento, un antefatto che ha preparato l’uomo in questione alle dure prove della vita. Il giudeo, anche se capisce immediatamente che c’è il tranello, non lo dà a vedere. Prima c’è la pausa della narrazione durante la quale Boccaccio descrive i pensieri di Melchisedech, pausa che quasi rappresenta il secondo prima di iniziare a parlare, quando con un respiro si raccolgono le idee ed i pensieri e, parola dopo parola, ci si guadagna la stima, l’approvazione dell’interlocutore.
È in questi sottili particolari che l’amore di Boccaccio nei confronti dell’ingegno umano si palesa.
 
Ilaria Pantusa

23 novembre 2010

Il concerto



 
Avete presente quella canzone che non dimenticherete mai? Quella che aleggerà per sempre nel vostro animo perché con i suoi saliscendi di note ha regolato il battito del vostro cuore? “Il concerto” fa questo effetto. Musica, colori e folclorismo vi si intrecciano creando una sinfonia perfetta, che inizia lentamente, quasi in punta di piedi, come il suo protagonista, Andrei Filipov, l’ex direttore d’orchestra del teatro Bolchoi di Mosca, che trenta anni prima si è dovuto reinventare uomo delle pulizie del teatro stesso per non aver obbedito al partito Comunista, che gli aveva ordinato di licenziare dall’ orchestra i musicisti ebrei. E mentre la melodia interiore del film cresce, il destino sorride ad Andrei. Da una Mosca sporca, arretrata e post-sovietica, il direttore e la sua ricomposta e chiassosa orchestra si ritrovano a Parigi come ospiti d’onore del teatro Chatelet. Qui Andrei non ritroverà solo Tchaikovski, il suo passato e le sue nevrosi, ma si ricongiungerà con l’“armonia perfetta e assoluta della musica”, quella stessa musica che sul finire cresce impetuosamente, riempie il cuore, colma gli occhi di lacrime e lascia senza fiato. “Il concerto” di Radu Mihaileanu è un esempio magistrale di Settima Arte, gli interpreti interagiscono con naturalezza e riescono a lasciare il segno, facendosi inseguire con divertita passione nelle loro vicende, mentre un mondo, quello della Russia post-sovietica, si mostra in maniera quasi tragicomica, immerso nei suoi mille splendidi volti. “Il concerto” è il film che tutti coloro che hanno voglia di meravigliarsi dovrebbero vedere.
 
Questa recensione è stata selezionata per il concorso di critica cinematografica indetto dal sito Mymovies nel 2010
 
Ilaria Pantusa

21 novembre 2010

il Faber dei reietti della vita



I testi di Fabrizio De André hanno sempre avuto la capacità di far riflettere. Con la profondità poetica che lo ha sempre caratterizzato ha scavato nell’animo umano in maniera non sempre indolore. Infatti è stato spesso criticato dai “benpensanti”. Uno dei brani più discussi di De André è sicuramente “Bocca di rosa”, contenuto in “Volume 1” del 1967. In questa canzone si narra la storia di una donna passionale e libertina amata e rispettata dagli uomini del paese e naturalmente invidiata dalle donne “cornute” che la considerano una prostituta. La narrazione è corale, il punto di vista si alterna tra quello delle donne gelose e quello degli uomini salutati dall’amore della donna. Quest’ultima è vista da De André con simpatia e delicatezza.
 
 
 
Infatti Faber ha sempre voluto mettersi dalla parte degli scarti di una società benpensante ed incoerente. Fa lo stesso 30 anni dopo, quando nel 1996 esce “Anime salve”, ultima raccolta di inediti. Apre l’album “Princesa”, una canzone che racconta la storia di un transessuale, Fernando, a partire dalla sua infanzia. A Fernando il suo corpo è sempre andato stretto e la soluzione più adatta per stare bene con la sua vera essenza è l’intervento chirurgico. Fernando morirà in grembo a Fernanda e per lei inizierà una nuova vita, prima in mezzo ad una strada “palcoscenico della sua vita”, poi accanto all’amore trovato in un “avvocato di Milano”. È ancora la poesia a trionfare, è ancora la riflessione a guidare l’ascolto, è Fabrizio De André che non ha mai smesso di cantare i reietti della vita.
 
Maggio 2010

20 novembre 2010

La banda degli onesti



Recensione film ‘’La banda degli onesti’’
Anno: 1956
Cast: Totò, Peppino de Filippo, Giacomo Furia, Gabriele Tinti
Regia: Camillo Mastrocinque
 
 
“La banda degli onesti” è una passeggiata nella Roma in bianco e nero degli anni ’50 con Totò, Peppino e le loro malefatte. Uno portiere di un grande condominio romano, l’altro tipografo della zona, entrambi onesti. Ma il caso, gli eventi vogliono che i due siano tentati da quelle mitiche diecimila lire, che riprodurranno insieme ad un amico imbianchino. E tra un fraintendimento e l’altro, l’epilogo di questa storia sorprenderà gli stessi protagonisti, che non potranno fare a meno di regalare risate fino all’ultimo istante.
Splendidi i cambiamenti d’espressione di Totò, la sua camminata zoppicante, il suo collo che allungandosi e accorciandosi diventa espressione di ciò che avviene nel suo animo, i suoi inimitabili giochi di parole. E quando Totò dice: “Ah sì, sì, ne ho sentito parlare di questi biglietti da diecimila in circolazione!”, si ha la sensazione che il tempo rimanga sempre fermo e che se una volta erano diecimila lire, ora sono 500€ e l’unica differenza è che Totò non è più qui a farci ridere delle nostre disgrazie.

 
Ilaria Pantusa
 
Pubblicato su "Icaro", n°4 ottobre/novembre 2010

12 novembre 2010

Le tre vedove


Ecco un altro "esercizio di stile", improvvisato quasi due anni fa durante il famoso corso di scrittura creativa. Questa volta dovevo "animare un quadro": Les Alyscamps del grandissimo Gauguin. Buona lettura e buona visione, è il caso di dirlo.

http://www.fabulousmasterpieces.co.uk/USERIMAGES/Les_Alyscamps.jpg

Tre donne, tutte e tre sorelle, tutte e tre vedove, passeggiavano lungo un piccolo e limpido fiumiciattolo, adagiato su di un lieve pendio di collina.
Le tre, Charlotte, Annette e Roxette parlavano dei bei tempi in cui si divertivano coi loro bei mariti all'ombra degli alberi alle loro spalle.
"Ricordate quando Jacque, per farci ridere, si è andato a buttare proprio qui, in queste acque e ci stava per affogare?" disse Charlotte e le altre risposero all'unisono con risate squillanti.
"Che bei fiori che gli hai portato Roxette!" Affermò Annette. "Il fioraio me li ha fatti pagare la metà. A mio parere ha delle mire". E le altre scandalizzate cominciarono a farfugliare che no, lei è una donna in lutto, la dignità, il rispetto verso Pierrot, Pierrot che era così gentile, Pierrot che era così simpatico, "Pierrot l'ho tradito una volta da quando se n'è andato", disse Roxette, "Pierrot mi manca tanto", disse Roxette, le altre in silenzio, a rintanarsi nel ricordo dei loro mariti, per non ascoltare la sorella indegna, che già volgeva lo sguardo agli alberi verdi che sapevano di primavera.
 
(30/03/09)
 
Ilaria Pantusa




05 novembre 2010

Potenzialità



Questa mattina sono arrivata ad una conclusione. Conclusione che è l’inizio di un viaggio in questo mondo desolato e malaticcio, un mondo in cui viviamo e in cui ci stiamo arrendendo in nome di un dio denaro dagli occhi iniettati di sangue e oro nero.
Ieri sera ho finito di leggere un libro di Jonathan Coe, “Circolo chiuso”, il seguito de “La banda dei brocchi”. In quest’ultimo si narrano storie che hanno come decisivo sfondo i fatti dell’Inghilterra degli anni ’70 e il suo seguito ha ancora come decisivo sfondo i fatti dell’Inghilterra dei giorni nostri. E quel ritratto era uguale ad un altro che ho visto io. Inizialmente non ricordavo dove, ma poi a poco a poco l’immagine si faceva più nitida, e allora mi tornavano in mente le pagine dei libri di storia, la storia di un’Italia remota non troppo distante da questa, e ancora gli articoli e le immagini dei telegiornali e le parole della gente sulla metro, i discorsi di verdi, leghisti, destra e sinistra, razzisti, omofobi, ignoranti. In questi due libri ho letto la decadenza che sta attraversando il mio paese natio, e mi hanno risvegliata dalla torbida illusione che solo qui ci fosse un buco nero incolmabile. Forse ho capito che quel buco nero sta attraversando l’intero mondo occidentale e ha un’origine, “perché quando vai al sodo, ogni cosa ha una causa”. Stavo pensando di affibbiare la colpa all’America e al Capitalismo, e forse sembrerà ovvio, forse sembrerà quasi scontato, oppure troppo semplicistico, ma credo che sia proprio così.
L’Italia sta perdendo la sua identità e da quanto ho potuto leggere, quell’identità sta sbiadendo anche in Inghilterra. Quando parlo di identità non mi riferisco a quella nazionale, ma intendo dire che stiamo vivendo in un periodo di decadenza culturale tale che ormai intellettuali, scrittori, artisti sono relegati ai piani impolverati della società, non sono più i “fari del popolo” (e questo è un processo che si trascina ormai da più di un secolo, lo so bene). Ma non è solo l’esigua importanza che si dà ad artisti ed intellettuali, il problema è che si è instaurata da ormai molto tempo un altro tipo di cultura, quella dello spettacolo, degli indici di ascolto, del vuoto. Da cosa proviene questo vuoto, chi ce l’ha trasmesso? Possibile che questo virus sia “autoctono” e si sia diffuso ovunque alla velocità della luce? In cosa possono essere ritrovate le cause? So di non essere una sociologa, ma mi rendo anche conto del fatto che ci sono troppe cose che non quadrano e che non siamo i soli a vivere questa realtà, e prima ce ne renderemo conto, prima qualcosa cambierà, forse. Non possiamo pensare di badare solo al nostro piccolo orticello quando tutto il mondo sta annegando insieme a noi, siamo nell’era della globalizzazione, ma ciò non deve necessariamente significare che siamo in un’era negativa e dunque dobbiamo accettarla per come è. Potremmo sfruttare questo rimpicciolimento del mondo, questo avvicinamento degli spazi, questa velocità nella comunicazione per unire le forze e abbattere questo muro di silenzio, di vuoto, di ignoranza e di fame di denaro. Ormai sono dell’idea che il capitalismo sia la rovina di questo mondo (e non parlo da comunista, dato che non lo sono, è una semplice constatazione oggettiva ed obiettiva), e sono dell’idea che gran parte di questa decadenza derivi da esso.
So che la decadenza culturale non è l’unico problema che stiamo attraversando, ma sono convinta del fatto che la precarietà del lavoro, la mancanza di onestà e la paura dell’Altro derivino da un’ignoranza di fondo, da una superficialità fin troppo tangibile. È questo che deve cambiare. Diamine, abbiamo un cervello, usiamolo! Come possiamo crederci esseri dotati di Ragione se non facciamo assolutamente nulla per far funzionare le cose in nome della collettività? È questo che deve cambiare, dobbiamo renderci conto delle nostre potenzialità perché fino ad ora non abbiamo fatto altro che distruggere. Noi possiamo ricostruire, ma dobbiamo abbattere quel muro di instabilità, ignoranza e vuoto.

30 ottobre 2010

Silenzio a Bombay


Questo piccolo esercizio creativo risale a più di un anno e mezzo fa, quando seguivo un corso di scrittura creativa nel mio vecchio liceo. In questo caso sono partita dall'incipit di un romanzo ben noto e ho continuato per la mia strada.
"Il tassista aveva una barba a pizzo, una reticella sui capelli e un codino legato con un nastro bianco." (Da "Notturno indiano" di Antonio Tabucchi)
Il tassista aveva una barba a pizzo, una reticella sui capelli e un codino legato con un nastro bianco. Doveva essere per forza un matto. Cosa c'entrava quella reticella coi suoi capelli? E col fatto che portasse un taxi?
Poi ad un tratto parlò. Pensieri sconnessi, parole che non avevano significato messe l'una accanto all'altra come faceva lui. Io guardavo fuori, facendo finta di nulla. Poi il silenzio. "Si fermi qui, sono arrivato, quant'è?", ma non rispondeva. "Mi scusi, avrei fretta, quanto le devo?", ancora nulla. Pensai di prendere venti sterline, che erano più o meno ciò che gli dovevo, e di dargliele, ma ad un tratto fece un gesto. Un gesto che non aveva senso. Aveva sollevato entrambe le mani e le aveva posate sul mio braccio. Lo sguardo fisso su quelle sue mani. "Ho sentito i tuoi pensieri, io non sono matto, ho solo imparato ad ascoltare il silenzio e a parlare con lui". Restai interdetto, in silenzio, sentivo che il mio volto aveva assunto un'espressione idiota mentre fissavo quello strano uomo. "Appena ti stanchi del caos che hai intorno, fermati e ascoltalo. Poi tira tu le conclusioni. Ah, sono quindici sterline". Con gesti automatici gli diedi quelle venti sterline che già avevo in mano e me ne andai, in silenzio, col silenzio nelle orecchie.    
(20/04/09)

20 agosto 2010

Sul ponte sventola bandiera bianca


Poveri stupidi. Questi fastidiosi ecologisti, ambientalisti, animalisti, sempre ad intromettersi tra le comodità altrui! Eh già, voi che parlate così, mi è capitato di ascoltarvi, voi che l’adolescenza l’avete passata da un po’, magari avete già dei figli e una carriera avviata, oppure no, ma la vostra idea del mondo è ben piantata nell’illusione che negarsi la possibilità di cambiarla quell’idea sia da deboli, da stupidi. Ebbene, voi che siete nati o cresciuti nel periodo in cui il boom economico non aveva saturato l’aria delle vie in cui stendevate i panni o potevate ancora giocare a palla perché le auto erano poche, voi che siete nati e cresciuti un po' più tardi, in quegli anni di piombo in cui l’aria cominciava a pesare proprio come il piombo, voi siete coloro con cui sono più arrabbiata. E parlo di rabbia generazionale, non di questioni personali. Infatti il mondo come è oggi ha il cancro. Quest’ultimo si chiama smog, si chiama sfruttamento delle risorse naturali, si chiama avere più del necessario, si chiama spreco, si chiama NOI.
 
Voi siete imperdonabili. Nel vostro piccolo potevate fare molto, come ad esempio educare i vostri figli al rispetto per l'ambiente, a non farsi rimbambire dalla tv, a non utilizzare l’auto per un percorso breve quanto una passeggiata di 10 minuti. E invece no, neanche adesso che avreste la possibilità di cambiare abitudini e di chiedere scusa al futuro, non fate altro che volere il ponte sullo stretto, le centrali nucleari e l’ennesimo centro commerciale con annesso parcheggio. Ed io e le generazioni che verranno saremo qui a respirare nuovi tumori e a vedere meno colori, tentando di fare comunque qualcosa, mentre “sul ponte sventola bandiera bianca”.
(Stretto di Messina)
Davvero vale la pena distruggere una tale meraviglia, deturpare un paesaggio così unico e splendido?
 
P.S. Essendo un’acerrima nemica delle etichette, non pensiate (giammai!!!), che io sia ambientalista, ecologista, animalista e “bacchettonista”. Sono semplicemente una persona che rispetta l’ambiente, la vita e che dunque tenta, con gli unici mezzi che possiede, di far capire che la direzione che stiamo prendendo non è la più giusta, ma solo la più dannosa. Nonostante le comodità.

23 luglio 2010

Un istante di sole dorato



(Kandinsky, Autumn in Bavaria)

Camminare per strada col tuo odore addosso, saltellare quasi per evitare un’auto mal parcheggiata e sorridere mentre canto di un sole dorato e stono. Penso che il viale alberato sia bellissimo nell’ora che precede il crepuscolo.
Sollevare le braccia e ancora cantare oltre tutto ciò che di amaro c’è, sentirmi riempita dal tuo sapore e sapere che chi ancora mi circonda splende come il nome bellissimo di quella canzone. Allungare la strada che mi porta a casa solo per poter danzare ancora con quell’istante di armonia.
“Never a frown with Golden Brown”
Ilaria Pantusa

18 luglio 2010

L’allegoria del Passato che si era staccato dal muro


 
("Morning Sun", Edward Hopper, 1952, olio su tela)


Mi ritrovo una mattina inseguita dal mio gatto in ogni cambio di scena, in ogni gesto e mi chiedo perché sono ancora sveglia con lo sguardo rivolto al passato e a ciò che è passato forse per sempre. Mi sgrido, perché i miei errori sono imperdonabili, anche quando è la Felicità la responsabile. I miei capelli sono diventati più chiari intanto e il sole è sorto come sempre accompagnato dal cinguettio degli uccelli. Ma io sono arrabbiata. Quel Passato si ripete ed ormai potrebbe essermi indifferente e potrei rinunciare a sperare che la Prossima Volta le cose saranno diverse, se non fosse per la Felicità, che dà un valore aggiunto a tutto, anche ai pezzi che perdo per strada. Fuori voci sorridenti di bambini che giocano coi nonni, il sole si alza, ma ancora non è bollente. E poi lo scorgi quel passato. Ti torna fra le mani staccandosi da un muro, lo vedi coi tuoi occhi e pensi che ti aspetti troppo dagli eventi. In questo ho sbagliato. Dovevo saperlo che un evento come quello avrebbe scatenato reazioni contrastanti, sbalzi climatici, cadute di governi, crisi economiche, guerre mondiali, l’infrangersi del vetro, vetro che avevo scambiato per un diamante, ma che in fondo sapevo non avrebbe retto alla Rivoluzione che si scatenava dentro me, quella dolce tempesta che accompagna i miei giorni più vivi. Anche il mio gatto ha preferito non disturbare la mia solitudine. Mi chiedo perché il Passato non fa altro che invaderla.
Ilaria Pantusa

08 giugno 2010

Rabbrividisco al solo pensiero


Questo pomeriggio ho deciso di studiare fuori, in terrazzo. L’aria era fresca, l’odore dei fiori intenso. Le voci dei bambini e degli adulti troppo forti. Ad un certo punto ho sentito un bambino di non più di 8 anni gridare un sonoro “vaffanculo” verso qualcuno o qualcosa. Mi aspettavo che venisse ripreso, che gli si dicesse qualcosa. Ma non è successo nulla. Poco dopo altre voci, un bambino di 2 anni che rideva ed un ragazzo che guardava verso il basso dicendogli “Eh mo’ so cazzi tua, il ciuccio non lo puoi prendere perché l’hai fatto cascà de sotto”. Ho rabbrividito al solo pensiero che tutti gli adulti possano rivolgersi così a degli esseri così piccoli e ancora sostanzialmente buoni. E ad un tratto mi si è chiarito tutto. Mi chiedevo come siamo arrivati al punto di distruggere la scuola pubblica, le risorse culturali, l’ambiente. La risposta è molto semplice. Non gliene frega più niente a nessuno di ciò che sarà per il futuro di questo paese. L’importante è solo quel maledetto oggi, adesso. O al massimo domani, perché la speranza che le successive 24 ore portino a qualcosa di migliore c’è sempre. Ma il pensiero di ciò che sarà fra 10, 15 o 20 anni non sfiora la mente di nessuno, a quanto pare. Ed ecco che allora lasciamo quasi passare inosservato un emendamento, il 1707, che determinerebbe una pena minore (non è necessario l’arresto) per chi compie atti di violenza di lieve entità nei confronti dei minori. L'emendamento è stato però ritirato proprio oggi, un sospiro di sollievo. Resta il fatto che stiamo crescendo una società che non si occupa più dei suoi figli e dei suoi nipoti. Il linguaggio che si usa con loro è violento, i gesti compiuti davanti a loro anche e quando parlano non li si ascolta davvero. Basta che stiano davanti alla tv. E se poi fanno qualche danno a scuola, non importa di quale entità sia, tanto la maestra ha sempre torto e i propri figli hanno sempre ragione. Questo sarebbe il modo giusto di educarli? Sarebbe questa la modernità familiare di cui si parla tanto? È questo il modo di prendersi cura dei propri bambini? Rabbrividisco al solo pensiero.

11 aprile 2010

Un appello per salvare la Valle dei Cuccioli dalla chiusura



La Valle dei Cuccioli, situata nel cuore di Villa Borghese, tra i confini del Bioparco, è un luogo in cui i cani sono felici. E ho visto con i miei occhi la loro voglia e gioia di vivere. E’ un piccolissimo spazio circondato dal verde, ogni cane ha la sua cuccia con comodo cuscino e vive in un’area recintata, insieme ad un altro paio di suoi simili. Sono animali che hanno subito traumi, maltrattamenti, l’abbandono. Vedendoli giocare fra loro, e sentendo il loro allegro abbaiare dedicato tutto al richiamo dell’attenzione di quello strano essere che cammina solo su due zampe, non lo pensereste. Questo proprio perché gli operatori di questa struttura hanno fatto molto per loro. Infatti la Valle dei Cuccioli ha l’importante merito di reinserire i migliori amici dell’uomo nel contesto sociale, dunque metterli a contatto fra loro, fra gli uomini, dentro e fuori il recinto. Inoltre c’è una piccola area dedicata all’addestramento ed al gioco. Dal 2005 ad oggi sono stati adottati ben 436 cani.
Perché chiuderla? Perché la ASL RM A, che lavora alla sterilizzazione di tutti i cuccioli che sono passati dal canile a questa struttura dal 2005 ad oggi, proprio in questi ultimi mesi ha comunicato l’obbligo di cessazione di tutte le attività?
Si additava come causa il rischio di trasmissione di malattie tra cani e altri animali esotici presenti nel parco. Ma come è possibile? I cani sono posti in un’area molto distante da quella degli altri ospiti del Bioparco e in 5 anni non si è mai verificato nulla di simile.
Ed è proprio per l’assenza di motivazioni serie, ed anche perché la Valle dei Cuccioli è un importante ed ormai indispensabile tramite tra canile e futuro “genitore” del cucciolo, che sta girando una petizione che ha bisogno della nostra firma e della diffusione da parte di tutti noi.
Seguendo questo link,http://firmiamo.it/noallachiusuradellavalledeicuccioli, potete contribuire concretamente al bene di questi bellissimi e dolcissimi animali. Inoltre, sulla colonna a destra di “Lostinthesupermarket” troverete un banner che vi porta direttamente alla pagina della petizione.
Inoltre, consiglio vivamente a tutti quanti di andare a trovare gli ospiti della Valle dei Cuccioli, portando loro il vostro sorriso, loro daranno a voi tanta gioia di vivere ed in questo modo avrete anche l’occasione di farvi una passeggiata a Villa Borghese, che in questo periodo si svela in tutta la sua meraviglia e potrete respirare aria pulita, migliore, che “sa di verde”.

02 marzo 2010

Il Nuovo Secolo Vecchio



E. Hopper, Nighthawks
Siamo nel 2010, ma l’anima del nostro tempo è ancora impregnata dell’odore di smarrimento che si respirava a pieni polmoni nel “Secolo Breve”, un Novecento fatto di crisi, di domande senza risposte, di caduta dei valori, di progresso tecnologico e regressione civile, un secolo di guerre e distruzioni di massa. Siamo nel 2010, ma la pura e semplice realtà ci dimostra come il Tempo sia solo una convenzione, un contenitore in cui le facce dei figli, dei figli, dei figli non sono altro che lancette piegate che seguono un meccanismo che si è inceppato, ed è rimasto ancorato ad un’epoca a forma di punto interrogativo.
I grandi intellettuali dell’inizio di quel secolo si sono posti delle domande a cui allora non poteva esservi risposta. Noi ne siamo gli eredi e abbiamo il compito di risolvere quei quesiti. Ma non lo faremo mai. Non lo faremo mai perché ci siamo lasciati travolgere dall’asfalto, dal cemento, dall’odore di benzina, dalle bugie, dal nostro superomismo, dai soldi. Non lo faremo mai perché noi siamo diventati quel meccanismo che ingurgita tutto e dipendiamo da esso anche se ne siamo gli artefici.
Forse una risposta a quei grandi uomini di cultura del passato l’abbiamo data, forse la risposta è il vuoto in cui ci siamo lasciati scivolare. La risposta è la staticità. Ed ecco il diagramma piatto della nostra indignazione, il diagramma piatto disegnato dai nostri non-gesti, dai nostri non-interventi, dal nostro disinteresse. Ed ecco che il meccanismo prende il sopravvento e tutto si addormenta.
Ed il nuove secolo è un nuovo secolo vecchio.

01 marzo 2010

Monologo Interiore di un "Io"



 E. Hopper, "Sheridan Theatre"
"Non si può giudicare il modo in cui una persona ne ama un’altra.
Voi invece lo avete fatto, lo fanno tutti.
Tutti a dire che l’amicizia dura per sempre, mentre gli amori vanno e vengono, un amico ti sta accanto nel momento del bisogno, un uomo invece non c’è sempre per te, che fai, ancora credi nel Dio Amore?
A voi che pensate questo e accanto avete qualcuno che dite di amare, a voi chiedo di riflettere sul vostro amore.
Morireste per lui o per lei? Vivreste ogni giorno della vostra vita insieme come se fosse l’ultimo? Perché sapete, io penso che il domani non lo si conosca mai abbastanza, se c’è una cosa che ho imparato dai telegiornali è che un maledetto fulmine, una maledetta automobile impazzita può cancellare ogni tuo desiderio di vivere in pochi istanti, il tempo di dire addio al mondo.
Io non credo in nessun Dio, in nessun Destino, neanche al Caso. Credo che ci sia un ordine che dipende dalla nostra volontà, dalle nostre decisioni ed indecisioni, dalle nostre non decisioni, dalla nostra indifferenza.
Ogni giorno noi facciamo qualcosa, ci alziamo dal letto, andiamo in bagno a guardare una faccia arruffata davanti allo specchio, corriamo verso un ufficio, un’aula accademica, un’auto, un’aula scolastica, un’altra auto, un bus, un ladro, un assassino, un benefattore, un dio, un cane, un gatto, corriamo verso un desiderio, un qualcosa che ci prenderà a schiaffi, qualcuno che ci pugnalerà alle spalle, un sorriso, un sì, un no, un forse.
Tutto questo ci cambia il corso della vita, perché ogni istante è fatto di bivi, quante possibilità ci offre vivere allora? Ed ecco che è necessario essere convinti di qualcosa, credere in qualcosa, avere un punto fermo, il centro che regola tutto, la guida nell’esplorazione del bivio, il sole del proprio cuore.
Io non credo neanche nella Certezza. Chi me lo dice che l’amicizia non possa andare e venire proprio come l’amore? Il punto è costruirsi delle certezze.
E allora la mia stella può essere il mio Lui, lui può essere il mio tutto, tutto il resto è un contorno.
È semplicemente un punto di vista che non coincide con quello degli altri. Non parlo di priorità, di chi è più importante e di chi è meno importante.
L’amore lo cerchi per tutta la vita ed è raro sentirlo pulsare come se fosse il proprio cuore. Arrivati a questo punto non si tratta più solo di due persone, ma di due organi vitali che coincidono, ogni tratto che si incontra appartiene all’altro e lo irrora di vita.
Come si può giudicare il modo in cui una persona ama un’altra persona?"
Ilaria Pantusa
-Esercizio di stile-

02 febbraio 2010

Disobbedienza civile



Si tratta di un avvertimento, una promessa.
Visto il decreto Romani ( leggete qui --> www.analisicompleta.it/2010/02/decreto-romani-il-modo-di-mettere-in.html questo blog continuerà, insieme a molti altri (come lo stesso http://www.analisicompleta.it/ ), a dire la Verità ogni qual volta sia necessario. Non vi lasciamo da soli. 
Io vi chiedo di ribellarvi, vi chiedo, per una volta, di non rimanere passivi ed impassibili, vi chiedo di gridare insieme a me e a molti altri che le cose non vanno bene, che non basta essere felici e stupidi per vivere bene. Vi succhieranno il sangue e l'anima, le fabbriche stanno chiudendo e la nostra libertà la stanno limitando. Io non lo voglio, voi?
Sono gradite idee, discussioni che permettano di trovare una soluzione a questa insostenibile realtà. Vi consiglio quindi di iscrivervi a questo gruppo su Facebook:http://www.facebook.com/profile.php?ref=name&id=1195807305#/group.php?gid=206571073976&ref=ts
Se ci lasciamo sopraffare abbiamo dato loro una vittoria immeritata.

19 gennaio 2010

Cosa muove tutto questo?



Forse alla maggior parte degli italiani fa comodo quanto sta accadendo.
Il declino della cultura, il menefreghismo imperante, la corruzione dietro ogni angolo di società, i piccoli furti quotidiani, il cassiere che non ti dà lo scontrino, tu che ti dimentichi di chiederglielo perché ormai è una consuetudine, famiglie che fingono di separarsi pur di non dichiarare il vero reddito annuale, altrimenti sono più tasse, altrimenti sono meno privilegi, eh, poi come faccio a comprarmi l’ultima borsa di Gucci e l’ultimo modello di tv al plasma?
Poi c’è quella minoranza, persone oneste, lavorano e guadagnano soldi che puntualmente se ne vanno in tasse, pagamenti, il condominio, l’acqua, la spazzatura, il mutuo, e alla fine? La terza settimana del mese se ti va bene rimani con un centinaio di euro e ci campi fino al prossimo stipendio, che, anche se lavori da trent’anni sempre nello stesso posto, è sempre lo stesso di quando stavi imparando l’ABC del tuo lavoro. Anni di sacrifici e non ottieni nulla.
Ieri sera quel simpatico burlone di BRUNO VESPA aveva dietro di sé una scritta meravigliosa, d’effetto (l’effetto consiste nel cadere a terra e rotolarsi dalle risate, se si ha senso dell’umorismo, chiaro, altrimenti dritti in bagno a vomitare rabbia e amarezza), d’effetto dicevo, e recitava: “Esiliato o latitante?”. Domanda da un milione di €, di chi si parlava? Di Dante, di Foscolo, di Cicerone, direte voi. E invece no! Sta qui l’indole comica dell’avvoltoio. Si parlava di Craxi gente! Sì, proprio quel grande statista che i nostri cari politici stanno tentando in tutti i modi di riabilitare. Craxi visse i suoi ultimi anni da latitante ad Hammamet ed i motivi di questa sua latitanza credo che siano noti a tutti.


Inoltre, in qualche modo, il grande statista continua ancora a rubare:
La Fondazione Craxi, creata il 18 Maggio 2000 con l’obiettivo della «tutela della personalità, dell’immagine, nonché del patrimonio culturale e politico di Bettino Craxi»,riceve ogni anno il contributo statale dal Ministero della Cultura.
Ciò che mi sconvolge è il modo in cui siamo arrivati a questo, il motivo per cui ci siamo arrivati. Come è possibile riuscire, in una maniera neanche troppo subdola, a cambiare la realtà dei fatti, a violentare la verità in una maniera così bruta.
Possibile che siamo tutti rincoglioniti?
Cosa c’è di così potente che ci comanda? In nome di cosa state distruggendo il nostro futuro, la nostra integrità morale. Io non credo che per fare politica bisogna essere ricattabili, io non voglio credere che per fare giornalismo bisogna accettare dei compromessi, io non credo che l’Italia sia solo questo. E allora perché nessuno si fa sentire? Cosa è che muove questi giochi sporchi?
Questo paese sta annegando e lo urla in tutti i modi, le fabbriche chiudono, noi ragazzi, solo perché a vent’anni ancora viviamo con i nostri genitori, siamo definiti “bamboccioni”, un termine che nasconde una grande profondità intellettuale d’altronde. Caro Brunetta, ma tu lo sai perché io ancora non posso andarmene via di casa? Hai una pallida idea di cosa voglia dire NON guadagnare 20.000 € come te ogni mese? Sai cosa vuol dire la parola onestà?
Viviamo in un paese in cui ragazzini di 14/15 anni credono che la strada giusta da intraprendere sia quella che porta in uno studio televisivo, dove basta che mostri la tua incredibile stupidità e sei ben accetto.
Di chi è la colpa? Cosa muove tutto questo?
Io sono curiosa di scovare tutti i meccanismi, qualche giornale me ne può dare l’opportunità?
Lo ripeto, cosa muove tutto questo?