Con questo breve racconto sono arrivata
finalista al concorso letterario "70 righe - Nasce la Repubblica",
concorso bandito dal Dipartimento Attività Culturali e Turismo di Roma Capitale
in collaborazione con le Associazioni residenti della Casa della Memoria e
della Storia, in occasione del 70° anniversario della Repubblica Italiana e
della prima volta delle donne al voto al Referendum del 2 giugno 1946.
L'aspetto che ho voluto sottolineare è stato
proprio quello della partecipazione femminile alla vita politica attraverso il
suffragio, che per la prima volta in Italia, su scala nazionale, diviene
universale.
Mi sono appassionata a questa fase della
nostra storia, ho fatto ricerche e ho scoperto che ci sono state tante
associazioni che hanno combattuto per farci acquisire questo diritto, ho
trovato le storie di donne eccezionali, ed è a loro che ho voluto dedicare
queste poche righe.
Vi lascio al racconto, buona lettura!
Con la matita
in pugno
“E un giorno
credi questa guerra finirà
Ritornerà la
pace ed il burro
abbonderà
E andremo a
pranzo la domenica
fuori Porta a
Cinecittà
Oggi pietà l’è
morta
Ma un bel
giorno rinascerà
E poi qualcuno
farà qualcosa
Magari si
sposerà”
Francesco De
Gregori, San Lorenzo
Le ultime notti di maggio lo avevano preannunciato
col loro odore intenso di fiori: giugno sarebbe stato un mese di giornate
profumate e soleggiate, la temperatura sarebbe stata tiepida e il vento leggero
avrebbe portato l’aria di mare anche in città.
Era così anche quella tarda mattinata del due giugno
e Annarella si dirigeva con passo svelto verso il seggio di San Lorenzo, ma al
suo sguardo non sfuggiva l’edera che scendeva sulle rovine di una palazzina
bombardata, e pensava allora che la bellezza cresceva lo stesso, cresceva
ovunque e riparava tutto a modo suo.
Annarella quella mattina si era svegliata tardi,
dopo una notte insonne passata a rigirarsi nel letto: non poteva chiudere
occhio dall’ansia e dall’eccitazione che provava per quello che avrebbe fatto
il giorno successivo. Ripassava nella mente le istruzioni che aveva ricevuto
dalla donna del comitato, quella che una mattina si era presentata su di un
carretto con un megafono, sotto casa sua, e che in quel grosso imbuto parlava
alle donne come lei, dicendo che anche le donne dovevano votare, ora che
potevano, e che dovevano scegliere la Repubblica, ché solo questa poteva fare
andare avanti il paese, ché il re lo aveva lasciato in mano al duce, “e vedete
da voi com’è finita!”. Nadia, così si chiamava, era poi passata casa per casa a
guardare in faccia quelle ragazze e adulte e anziane, alcune sole coi figli,
mentre i mariti e i fratelli erano ancora in cammino di ritorno dal fronte
oppure morti, altre con gli anziani padri seduti accanto a loro a fissarla
mentre parlava del diritto di voto delle donne e del loro essere pienamente
cittadine. Alcune partecipavano con vivo entusiasmo, altre, intimorite dagli
sguardi degli uomini di casa oppure spaventate dalle parole che non capivano,
rispondevano che a loro quella roba là non interessava. Allora Nadia, con una
luce nuova negli occhi, diceva che a loro poteva pure non interessare, ma la
politica si interessava a loro, e la fame e le bombe erano il modo in cui lo
faceva. Dopo queste parole, qualcuna abbassava lo sguardo e restava in silenzio
a pensare, qualcun’altra la cacciava sbrigativamente, “ché c’ho da fa’, signo’,
faccia la cortesia”.
Quando era arrivata da Annarella, Nadia aveva
trovato ad accoglierla una ragazza vestita quasi solo di stracci, col volto
magro un tempo tondo, e gli occhi tristi. Accanto a lei il fratello, a cui
mancava un braccio, perduto in quel mattino di luglio, quando le bombe cadevano
come neve.
Annarella percorreva il suo quartiere, e i ricordi dei
mesi della guerra, in quel giorno che inaspettatamente aveva acquisito un
significato fondamentale per lei, le attraversavano la mente, e allora
scorrevano veloci le immagini e le sensazioni di quei tempi, pensava alla fame,
alla miseria, rivedeva le bombe e le macerie, sentiva la paura delle SS e
l’angoscia per le persone arrestate e mai tornate a casa, il dolore per la
chiesa distrutta e i corpi a terra. Una lacrima le stava per scendere
dall’angolo dell’occhio, ma la ricacciò indietro in fretta, non voleva
guastarsi il trucco che Rosetta le aveva fatto e macchiarsi il vestito a fiori
che le aveva prestato.
Rosetta quel giorno non sarebbe andata a votare,
perché il marito, tornato dalla guerra da qualche mese, non aveva voluto
sentire ragioni. La guerra lo aveva trasformato. Prima era un uomo dolce e
premuroso, adesso era taciturno e ogni tanto piangeva, e se qualcuno se ne
accorgeva cominciava ad urlargli addosso. Rosetta avrebbe voluto votare, ma non
voleva litigare con lui, così non aveva insistito e aveva fatto in modo che
almeno Annarella si presentasse davanti a quelli della sezione come una vera
signorina, vestita a festa, ché per loro, le ragazze, era quasi una festa.
I volti delle persone che tornavano dal seggio
sembravano tutti sorridenti, e tutti parlavano animatamente e con entusiasmo.
C’erano anche quelli che discutevano e si accaloravano tanto da arrivare pure a
spintonarsi, ma prontamente arrivava chi li divideva, e poi c’erano le anziane
signore vestite a lutto, quasi tutte sorrette da un giovanotto che le aiutava a
sopportare la fatica del camminare sotto il sole caldo di mezzogiorno.
Annarella guardava tutta quella umanità e un sorriso spontaneo le si disegnava
sul viso e, presa da un’eccitazione crescente, camminava tanto veloce che quasi
correva.
Più si avvicinava al seggio, mancavano ancora pochi
metri, più pensava alle parole di Nadia quel giorno che era venuta a casa sua.
“Annarella”, le diceva “ricordati che tu sei una donna, che adesso puoi
decidere di te stessa!”. Queste parole avevano fatto arrabbiare Nando, il
fratello minore di Annarella, che in quanto unico uomo di casa aveva la
responsabilità di badare alla sorella, da quando i genitori erano morti. Nando
aveva assunto un’espressione dura e aveva risposto che Annarella non poteva
decidere proprio niente, tantomeno se si trattava di votare e di votare
addirittura la Repubblica! La ragazza gli si era avvicinata, gli aveva
accarezzato l’unico braccio, e con dolcezza gli aveva detto che si trattava
solo di ascoltare ciò che quella donna aveva da dire, niente di più. Lui, che
adorava la sorella, non aveva potuto resistere a quel gesto dolce e materno, e
aveva acconsentito affinché Nadia parlasse. La donna, con rinnovato ardore,
aveva ripreso il suo discorso: “Quello che voglio dire è che finalmente in
Italia le cose stanno cambiando, noi donne il voto ce lo siamo sudato e
conquistato, adesso si tratta di far sentire anche la nostra di voce. Io
all’anima non credo, ma alla forza e all’intelligenza di noi donne sì!”.
Annarella le aveva chiesto allora cosa cambiava se la Repubblica avesse vinto.
“Cosa cambia, mi chiedi?”, aveva ironicamente domandato Nadia, e Annarella
ricordava la sua espressione ferma nel risponderle, “cambia che finalmente
tutti godremo di pari diritti e doveri e non ci sarà nessun sovrano, Annare’,
il popolo sarà sovrano!”. E poi le aveva dato una copia della scheda sulla
quale avrebbe votato il due giugno, e le aveva fatto vedere come avrebbe dovuto
fare. Nando stava lì con lo sguardo torvo, ma non diceva niente. La sorella
ogni tanto lo guardava e gli rivolgeva un sorriso rassicurante. Ma in seguito
aveva discusso talmente tante volte col fratello che alla fine lo aveva preso
per sfinimento e lo aveva convinto con una piccola bugia, necessaria affinché
lui le accordasse il permesso di uscire e andare a votare.
Annarella aveva raggiunto il seggio, la fila era
lunga e l’aria vibrava di un vociare sommesso, quasi che tutti si stessero
scambiando segreti. Si mise ad attendere pazientemente. Quando finalmente entrò
nella cabina, nervosa ma felice, si rese conto che la sua X su quel foglio
avrebbe avuto lo stesso valore di quella dell’uomo più importante d’Italia.
Sorrise e impugnò la matita.
Ilaria Pantusa